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martedì 16 settembre 2014

Olio di palma e salute: fa bene o fa male? Quanto ne consumiamo? Il parere degli esperti e degli studi scientifici


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Un consumo occasionale non fa danni, mentre assumere ogni giorno, potrebbe rappresentare un rischio per la salute di cuore e arterie

Ma fa bene o fa male? Abbiamo visto quanto l’olio di palma sia diffuso e vantaggioso per l’industria alimentare, per versatilità e, soprattutto, costi. Rimane però da chiarire quale sia il suo valore nutrizionale e quali effetti abbia sulla nostra salute. Un tema complesso e ancora oggetto di ricerca, eppure alcune indicazioni sembrano rassicuranti. Come spesso accade, il punto critico è la quantità: un consumo occasionale non fa danni, mentre assumere ogni giorno, magari più volte al giorno, prodotti con olio di palma potrebbe rappresentare un rischio per la salute di cuore e arterie. Esattamente come mangiare troppo burro.

In realtà sulle conseguenze per la salute dell’olio di palma c’è una certa confusione. Da un lato, c’è chi tende a demonizzarlo per l’elevato contenuto di acidi grassi saturi (circa il 50% del totale), considerati poco salutari perché tendono a far alzare i livelli di colesterolo nel sangue. Dall’altro, c’è chi lo considera molto positivamente per l’elevato contenuto di precursori delle vitamine A ed E oltre alle sostanze antiossidanti. In questo caso, parte della confusione deriva dal fatto che non sempre è chiaro di quale olio di palma stiamo parlando: se del prodotto integrale o di quello raffinato.

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L’alto contenuto di vitamine e sostanze antiossidanti vale soltanto per l’olio di palma integrale

L’alto contenuto di vitamine e sostanze antiossidanti, infatti, vale soltanto per l’olio di palma integrale: un liquido dal vivace colore rosso utilizzato soprattutto nei paesi produttori, anche nell’ambito di programmi di salute pubblica che puntano a ridurre le carenze di vitamina A.
«Una volta raffinato, però, l’olio di palma perde quasi completamente queste sostanze benefiche» ricorda Renato Bruni, ricercatore in botanica e biologia farmaceutica dell’Università di Parma. Per questo chi si pronuncia a favore del palma nei prodotti industriali tirando in ballo vitamine e antiossidanti si dimostra poco informato (oppure in mala fede).

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L’olio di palma è costituito per il 50% da acidi grassi saturi e per il 50% da acidi grassi insaturi

Torniamo allora sulla componente grassa, costituita per il 50% da acidi grassi saturi (in particolare acido palmitico) e per il 50% da acidi grassi insaturi: soprattutto acido oleico (monoinsaturo), seguito da acido linoleico (polinsaturo). Ora, proprio l’alto tenore di grassi saturi rende il palma così interessante per l’industria, perché è ciò che gli conferisce una certa solidità a temperatura ambiente. Ma è anche quanto lo accomuna al burro, grasso solido per eccellenza, contenente anch’esso poco più del 50% di acidi grassi saturi. E in effetti, dal punto di vista nutrizionale il grasso di palma viene spesso paragonato al burro.

Il problema è che gli acidi grassi saturi sono ritenuti ampiamente coinvolti nel rischio cardiovascolare. In realtà, però, le cose sono un po’ più sfumate di così, soprattutto per quanto riguarda il palma. Tanto per cominciare, c’è un problema di letteratura scientifica: di studi clinici e nutrizionali sull’olio di palma ce ne sono tanti, ma danno spesso risultati controversi e contraddittori. «Questo accade perché non è chiaro qual è l’olio utilizzato per lo studio – se integrale, raffinato, frazionato – per cui si corre il rischio di confrontare situazioni che in realtà non sono confrontabili» sostiene Bruni, che ha affrontato questo tema in un post sul suo blog.

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Acidi grassi diversi hanno effetti differenti sulla nostra fisiologia e sulla salute

E ancora: alcuni studi hanno valutato l’effetto dell’olio di palma per intero, mentre altri l’hanno valutato come se fosse composto unicamente da acido palmitico. Inoltre, molte indagini considerano gli acidi grassi saturi come un gruppo omogeneo, ma non è esattamente così. Acidi grassi diversi hanno effetti differenti sulla nostra fisiologia e sulla salute e inoltre questi effetti dipendono anche dal modo in cui sono organizzati gli acidi grassi sulle molecole di grasso e dall’equilibrio generale tra grassi saturi e grassi insaturi nella dieta. Se questo equilibrio è adeguato, sembra che gli acidi grassi polinsaturi possano compensare l’effetto negativo di quelli saturi.

Questo vale in generale, non solo per i grassi del palma, tanto che sembra essere in corso una riabilitazione complessiva della categoria “grassi”: un tema al quale la rivista Time ha dedicato la copertina poche settimane fa. Per quanto riguarda il palma, vale la pena menzionare una revisione complessiva della letteratura scientifica sull’argomento pubblicata nel 2013 da due ricercatori dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. Il quadro che emerge è quello di un olio non peggiore di altri oli vegetali rispetto all’impatto sulla salute.
La maggioranza degli studi presi in considerazione non sembra infatti suggerire un ruolo attivo dell’acido palmitico nell’insorgenza di malattie cardiovascolari, soprattutto se si prendono in considerazione persone con buoni livelli di colesterolo e un’assunzione adeguata di acidi grassi polinsaturi. La revisione, inoltre, sottolinea che non ci sono al momento prove scientifiche di un eventuale coinvolgimento degli acidi grassi del palma nell’insorgenza di cancro.

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Il vero pericolo per la salute di cuore e arterie è costituito dagli acidi grassi cosiddetti trans

Il vero pericolo per la salute  di cuore e arterie è costituito dagli acidi grassi cosiddetti trans, che si formano durante un processo industriale che serve a solidificare gli oli vegetali (idrogenazione). Poiché il palma è per natura in forma semisolida e può essere facilmente frazionato, separando la parte liquida da quella solida, non viene in genere sottoposto a questo processo.
Riassumendo: come il burro e gli altri oli vegetali, il palma è sicuramente meglio degli acidi grassi trans (e in effetti va detto che la maggior parte delle aziende alimentare ha eliminato il ricorso a grassi idrogenati). Allo stesso tempo, sembra non sia peggiore del burro.

Tutto bene, allora? Via libera per il grasso di palma? Non proprio, e per varie ragioni. «Intanto perché c’è il rischio che contenga residui di sostanze tossiche usate per la coltivazione o nelle aree di coltivazione» sottolinea Enzo Spisni, docente di fisiologia della nutrizione all’Università di Bologna. «Non dimentichiamo che l’olio di palma viene da zone in cui è ancora impiegato il DDT. In realtà i dosaggi effettuati finora in ambito internazionale non hanno riscontrato la presenza di queste sostanze in quantità superiori alle soglie consentite.
Però c’è sempre la possibilità di un effetto accumulo, critico soprattutto per i bambini». In secondo luogo, va tenuto presente il rischio di lavorazioni industriali che possano alterare il grado di pericolosità dell’olio di palma. Stiamo parlando in particolare della cosiddetta interesterificazione, un processo chimico che permette di ridistribuire e riorganizzare le molecole di acidi grassi degli oli vegetali per influenzarne le proprietà fisico-chimico. Non ci sono ancora risultati definitivi sull’argomento, ma alcuni studi preliminari suggeriscono che l’olio di palma interesterificato possa avere effetti negativi sul metabolismo dei grassi e dunque sulla salute di cuore e arterie. Il problema si pone perché non è richiesto (né lo sarà con l’entrata in vigore della nuova normativa europea, il 13 dicembre 2014) di indicare in etichetta la presenza di grassi interesterificati.

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Un po’ di olio di palma o un po’ di burro e latticini non fanno alcun danno se assunti nell’ambito di una dieta varia ed equilibrata

In ogni caso, va chiarito con forza che la parziale riabilitazione dei grassi, palma compreso, si riferisce a situazioni di equilibrio nutrizionale. Il messaggio non deve essere frainteso: certo, non c’è ragione per demonizzare il palma, come non c’è ragione per demonizzare il burro. Un po’ di olio di palma o un po’ di burro e latticini non fanno alcun danno se assunti nell’ambito di una dieta varia ed equilibrata, se possibile di stampo mediterraneo.
E in effetti le Linee guida per una sana alimentazione dell’INRAN non “vietano” i grassi, ma ne consigliano un consumo moderato: in una alimentazione corretta, dovrebbero apportare dal 20 al 35% al massimo della quota calorica giornaliera e dovrebbero essere variamente distribuiti tra saturi (non più del 7-10% delle calorie totali), monoinsaturi (fino al 20%) e polinsaturi (circa il 7%). Allo stesso tempo, però, questo non significa che si possa esagerare.

Il problema, dunque, è la quantità e in particolar modo il fatto che spesso assumiamo olio di palma in modo inconsapevole. In una giornata, le occasioni per consumarlo sono tantissime: dai cereali croccanti della colazione, ai biscotti confezionati con cui accompagnare il caffè di metà mattina. Dal toast del pranzo, al gelato industriale di metà pomeriggio, fino alla crema spalmabile per chiudere in dolcezza la cena (tutti prodotti che possono contenere olio di palma). Decisamente troppo. «Invece, il consumo di prodotti con olio di palma dovrebbe essere limitato al massimo a una volta al giorno e se possibile non tutti i giorni» afferma Laura Rossi, nutrizionista dell’INRAN. «Se ne assumiamo uno a colazione, dovremmo ricordare che abbiamo esaurito le occasioni per la giornata e sostituire gli altri snack con frutta, pomodori ciliegini, frutta secca». Questo per quanto riguarda il consumatore. Anche l’industria alimentare, però, dovrebbe fare la sua parte, cercando di ridurre il più possibile il contenuto di olio di palma dei suoi prodotti.

Valentina Murelli
© Riproduzione riservata
Foto: iStockphoto.com

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