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giovedì 26 marzo 2015

DL Antiterrorismo, così lo Stato avrà libero accesso ai pc degli italiani

La nuova legge prevede la possibilità di acquisire, attraverso software occulti, tutte le comunicazioni fatte in digitale dai cittadini sospettati di qualsiasi reato, non solo di matrice terroristica



ROMA - È allarme privacy circa la possibilità che l'Italia promuova una legislazione irrispettosa dei diritti dei cittadini. Arriva infatti oggi nell'aula di Montecitorio il decreto antiterrorismo la cui conversione in legge è stata licenziata lunedì dalle commissioni competenti ma che ha già registrato le perplessità del Garante per la Privacy.

Il Garante, Antonello Soro, si era detto preoccupato per la mancata proporzionalità nella legge tra le esigenze della privacy e della sicurezza citando l'annullamento, da parte della Corte di giustizia europea, della direttiva sulla data retention proprio perché gli emendamenti alla legge antiterrorismo approvati in commissione vanno nella direzione opposta al principio di proporzionalità. Un principio che esige un attento equilibrio tra il tipo di reato, le esigenze investigative, il tipo di dati e il mezzo di comunicazione utilizzato.

Il decreto (n.7/2015), partorito dal governo il 18 febbraio scorso, prevede una serie di misure urgenti per il contrasto del terrorismo. Il testo di base considerava una serie di aumenti di pena per l'addestramento ad attività con finalità di terrorismo, per l'istigazione a delinquere e a commettere dei delitti contro lo Stato e per i reati di apologia quando commessi attraverso strumenti informatici o telematici soprattutto in caso di crimini contro l'umanità. Ma con gli emendamenti approvati in commissione lo scenario è cambiato.

"Nessuno può mettere in dubbio la necessità di adeguare la legislazione italiana alle nuove guerre che si combattono nel cyberspazio o alla repressione dei crimini perpetrati attraverso gli strumenti che Internet mette a disposizione", spiega Quintarelli, deputato di Scelta Civica ed esperto di Internet, "ma la modifica all'articolo 266-bis, comma 1, del codice di procedura penale, presente nel cosiddetto decreto antiterrorismo introdurrebbe per la prima volta la possibilità di spiare dentro il computer di ogni singolo cittadino sospettato di qualsiasi reato e non solo di quelli di matrice terroristica".

Secondo il deputato con questa legge l'Italia diventerebbe il primo paese europeo a rendere legale in maniera esplicita e in via generalizzata l'autorizzazione alle "remote computer searches" e all'utilizzo di software occulti da parte dello Stato per indagare tutti i reati "commessi mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche."

Intervistato da Repubblica.it il deputato ha sottolineato che "Non si tratta di una semplice intercettazione, che parte da un certo momento in poi, ma si tratta dell'acquisizione di tutte le comunicazioni fatte in digitale dal proprio computer" violando il domicilio informatico dei cittadini e riunendo quattro differenti metodologie di indagine: le ispezioni, le perquisizioni, l'intercettazione delle comunicazioni e l'acquisizione occulta di documenti e dati anche personali. "In pratica si rende possibile entrare nei computer delle persone e di guardare nel loro passato usando software nascosti. Significa che fra dieci anni qualcuno potrà leggere quello che Matteo Renzi ha scritto quando stava al liceo o 'acquisire tutta la vita' della persona oggetto di indagine". Per questo motivo il deputato ha depositato questa mattina due proposte di modifica: una riguarda l'abrogazione del comma, la seconda invita a chiarire che il motivo dell'intervento deve essere limitato solo ai reati di terrorismo. Se invece la legge passasse così com'è ci ha detto, "da domani per qualsiasi reato commesso con un computer - dalla violazione del copyright ai reati d'opinione - sarà consentito violare da remoto in modo occulto il domicilio informatico dei cittadini".

La gravità di una simile possibilità dovrebbe essere ovvia e per questo il deputato parla di una "svista" nella legge perché l'uso di captatori informatici (Trojan, Keylogger, sniffer) per ricercare delle prove da parte delle Autorità è l'operazione più invasiva che lo Stato possa fare nei confronti dei cittadini. Anche qui chiarisce: "Non dico che i captatori siano sempre da vietare, ma il loro utilizzo deve esser regolato in modo più stringente di quello delle intercettazioni per non violare principi costituzionali fondamentali".

Anche il professore Alberto Gambino, ordinario di diritto civile e presidente dell'Accademia Italiana del Codice di Internet, ha espresso dubbi simili e ha dichiarato a Repubblica.it che "la prospettiva di affidare allo Stato l'acquisizione dei dati stessi ai fini della repressione dei reati che possono essere perpetrati attraverso mezzi tecnologici non può frustrare i diritti fondamentali della persona umana e pertanto deve essere affidato alla magistratura il compito di valutare caso per caso l'opportunità di limitare le libertà individuali".


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